Lettera a Walter (17/06/2020)
È COMUNITÀ PROPRIO PER QUESTO, NO?
Caro Walter,
il 15 giugno di dieci anni fa, circa a metà mattina, varcavo il portone della Pinocchio per iniziare il mio percorso in comunità. Ricordo che, nonostante mi stessi disintossicando già da un paio di settimane, stavo ancora molto male… è così sarebbe continuata per un po’. Credo che allora in me dominassero tre sentimenti: la paura per quello che stava per iniziare (mi accolse il buon Fabio ed ero parecchio intimorito!), il sollievo per essermi allontanato dalle mie zone e la coscienza di essere davanti a uno snodo cruciale, tanto avevo toccato il fondo; non credo di poter dire che mi avvicinavo alla comunità con speranza, ma sicuramente c’era la volontà di cambiare vita.
Riguardando indietro mi accorgo che già sotto la cenere covava un desiderio, semplice a pensarci: il bisogno di essere felice. Ho imparato in quei mesi, in quegli anni, a riconoscerlo: a riconoscerlo perfino nella vita di prima, negli errori commessi. Questo è stato il primo grande dono che mi avete fatto: il riappropriarmi della mia umanità, grazie al vostro accompagnamento costante in tutte le circostanze, da quelle meno belle (ricordi quando Matteo mi dovette accompagnare da Carabinieri a Cinisello? Ero lì da così poco…), a quelle decisamente dolorose (quando Luca si tolse la vita erano pochi mesi che ero con voi), a quelle più liete e gioiose (quanti ricordi: l’allestimento del Presepe con Cristina, i mercatini della Bottega, il “Grillo Parlante”, il ritorno in comunità dopo gli esami all’università).
Ricordo tutto (o almeno tanto, che per me è già un mezzo miracolo!). Soprattutto mi ricordo come ogni mia reazione, ogni mio “sentire” fosse preso sul serio e guardato insieme, giudicato. Del resto è “comunità” proprio per questo no?
Oggi sono passati dieci anni da quel momento: di cose nella mia vita ne sono successe tante, ma così tante che quasi toglie il fiato girarsi indietro e guardarle tutte in una volta sola: come dice una nostra canzone “la storia più grande è il Destino che si svela poco a poco”, anche nella vita di ciascuno di noi. Mi sorprende però poter guardare a tutti questi anni con gratitudine, con il cuore gonfio. E il seme di questa gratitudine è certo stato piantato (e aveva già iniziato a germogliare) lì.
In qualche strano, ma non per questo meno reale, modo sento ancora la Pinocchio come casa mia. E ogni tanto ne provo nostalgia. Capisco proprio adesso, mentre scrivo, che certo è nostalgia delle facce che ho incontrato (te, Cristina, Fabio, Francesca… e anche alcuni dei ragazzi: Cristian, Francesco, Beppe, Federico, Giovanni) e di quelli che sono stati tra gli anni più intensamente vive e drammatici della mia vita; ma a un livello più profondo è nostalgia del bene sperimentato lì! Così anche io come Nicodemo mi trovo a chiedermi se sia possibile rinascere di nuovo. Nonostante tutto quello che ho vissuto, con te e in tutti questi anni successivi, ammetto di non saper ancora dare una risposta; non so nemmeno se sono in grado di stare davanti alla drammaticità di questa domanda, senza fuggire rifugiandomi in un ovattato borghesismo. So però che almeno desidero vivere intensamente, da uomo, nonostante tutte le mie insicurezze, fragilità, incertezze.
E che quel 15 giugno di dieci anni fa sono stato messo su una strada che è l’unica che io conosca per continuare il viaggio.
Grato della tua amicizia spero di vederti presto.
Un abbraccio.
Fabrizio